Raffaele Iodice, in arte Bafefit, nasce nel Salento, per sua stessa definizione “terra troppo calda”. Sarà forse il calore, la carenza di alberi di alto fusto, il sole a picco, ma le sua opere sono popolate di demoni meridiani. Come nel saggio di Callois le oscure presenze si nascondono nelle ombre, la loro esistenza è messa a nudo dalla luce diretta del sole. Azzannatori, mostri pericolosi, pronti a saltarti addosso alla minima distrazione, eppure terribilmente fragili come i tratti di china con i quali sono, in genere, costruiti. Non è un caso che l’artista, a proposito dei suoi personaggi, li abbia definiti “una zolletta di zucchero sotto un temporale”.

Bafefit - Soli sotto una pioggia di piume. Fonte: Bafefit shop on line: http://www.etsy.com/people/bafefit?ref=ls_profile
Bafefit – Soli sotto una pioggia di piume. Fonte: Bafefit shop on line: http://www.etsy.com/people/bafefit?ref=ls_profile

Bafefit parla della sua arte come del “suicide realism”. Le opere sono appese ad un filo. Diciamo meglio, messe con le spalle al muro e l’unica alternativa che resta alla loro esistenza è, appunto, il suicidio. Cifra stilistica del nostro è l’utilizzo della carta storica, meglio se adoperata anni fa da mani illustri. Una maniera di dare continuità, nel tempo, alla produzione artistica. Nulla si crea e nulla si distrugge: l’anima permea la materia, la vita si riproduce, per emanazione e profanazione, all’interno degli oggetti che non sono materia inerte, ma mantengono ben visibile una propria traccia biologica.
La morte riempie i suoi quadri. Eppure Iodice, nonostante i proclami (è del 2011 l’esposizione “Bafefit deve morire”), sembra un po’ troppo vivo per essere un aspirante suicida. Si cerca, nella sua opera, di tenere concettualmente a distanza la grande mietitrice, rendendola piccola e manipolabile all’interno di un foglio di carta. Logica conseguenza artistica sarebbe una performance in cui si dà fuoco ai disegni. La morte sarebbe, così, definitivamente sconfitta.

Con questi pochi indizi vediamo di costruire visualmente Raffaele Iodice, in arte Bafefit: nella nostra immaginazione si potrebbe compone una figura che ha un qualcosa di ottocentesco, un’aria da flaneur, che circola la sera per cimiteri, che ha un sano disprezzo della vita. Nulla di più distante dalle immagini reali del nostro, pienamente uomo del suo tempo, con tanto di piercing e di opere ben vendute. Vendute perché Bafefit, un tempo enfant prodige della scena romana è oggi un artista affermato, “tira”, ha un suo pubblico di estimatori e collezionisti. Il nome “Bafefit” non tragga in inganno, non si tratta del demone di cui si parla nella “clavicula salomonis”, testo base della demonologia. C’è una “f” di troppo. L’uomo Bafefit è una cosa diversa dal demone Bafetit. Il soprannome nasce in maniera meno metafisica e decisamente più mondana: il termine venne coniato perché all’artista, da giovane, facevano fatica a spuntare i baffi. L’aneddoto è raccontato durante una intervista rilasciata ad Eva Di Tullio.
Una delle opere di maggior rilievo del Bafefit è “Gay iranian love”, opera che protesta contro la pena di morte applicata all’omosessualità. In una intervista rilasciata al sito del Circolo Mario Mieli, il nostro spiega dettagliatamente le modalità del proprio impegno: “La politica mi interessa e mi interessa prendere a schiaffi tutto ciò che di questo mondo non mi sta bene, ma scelgo di farlo con i miei inchiostri e i miei pastelli”. Sartre non avrebbe gradito. Più che un artista, il quale compiutamente è parte del mondo, emerge il fine artigiano. E’ possibile dare il la ad una avanguardia solo come espressione artistica? L’avanguardia è fatta anche di impegno reale, concreto, che vada al di là della specificità dell’arte, completandola con un concetto forte.

Bafefit - Gay iranian love. Fonte: Bafefit shop on line: http://www.etsy.com/people/bafefit?ref=ls_profile
Bafefit – Gay iranian love. Fonte: Bafefit shop on line: http://www.etsy.com/people/bafefit?ref=ls_profile

I mostri di Bafefit sono quindi molto meno pericolosi di quanto appaiono, molto più grafica eccezionalmente ben fatta che manifesto teorico. E’ un po’, se vogliamo, il limite di tutto il pop surralism italiano. Prodotti ottimi da un punto di vista estetico, stilistico e formale cui non segue una consapevolezza culturale, intellettuale, una visione del mondo e dell’arte. Per quanto il pop surrealism italiano sia ben sostenuto da una ottima azione di marketing (si prenda ad esempio la grande capacità della Mondobizzarro gallery di Roma di essere realmente galleria) prima o poi il mercato andrà a saturarsi e la noia regnerà sovrana. Bafefit, dopo il suicidio di tutti i suoi personaggi, dovrà trovare un piano B. Non sarebbe bello passare alla storia come il Botero del pop surrealism, addirittura rintanandosi in una sottocategoria alquanto oscura, quella del “suicide realism”, avanguardia solo estetica fatta da una persona sola.

Eppure io ho fiducia in Raffaele Iodice. Vedo nel suo tratto qualcosa in più dell’artista glamour sospinto da un ottimo e fortunato marketing. La mia speranza è che Bafefit, che ha esaurito le sue pur ottime cartucce, muoia, così come dichiarato nel 2011, lasciando libero Raffaele Iodice di spiccare il volo: Iodice ha di sicuro molte, moltissime cose da dirci e tanti anni per farlo di fronte se.

Mario Michele Pascale